
L`ex giocatore della Roma, oggi allenatore del Fluminense, si racconta alla vigilia della sfida contro l`Inter: “Per preparare la partita ho rinunciato a cena con mia figlia. A Roma non è andata bene, ma col senno di poi avrei dovuto restare. Il rischio fulmini? Non possiamo controllare la natura”.
Renato Portaluppi, conosciuto in Brasile semplicemente come Renato Gaucho, evoca ricordi delle notti romane degli anni Ottanta. Nella Capitale, la sua esperienza in maglia giallorossa non è certo impressa nella memoria per le prodezze in campo o i gol, quanto piuttosto per… altro, tanto che il soprannome “pube de oro” non fu affatto casuale. Oggi Renato, in Brasile, è considerato una sorta di guru della panchina. Dopo aver conquistato la Libertadores con il Gremio, da alcuni mesi è tornato alla guida di un Fluminense combattivo ed esperto, pronto ad affrontare l`Inter nel prossimo impegno.
Il suo stile
Lo stile schietto e sfrontato è rimasto invariato rispetto ai tempi da giocatore. Basta ascoltare la conferenza stampa della vigilia, ricca di frasi a effetto, per averne conferma: “Sappiamo quanto siano forti le squadre europee, ma questo vale solo sulla carta… Molti li danno per favoriti, ma in campo tutto può cambiare…”, ha detto strizzando l`occhio ai giornalisti italiani e brasiliani nella sala conferenze del Bank of America Stadium. “L`atteggiamento è cruciale in una partita così importante. Il fatto che una squadra come l`Inter sia considerata favorita dipende principalmente da fattori economici: se vai al mercato con 1000 reais, hai molta più scelta rispetto a chi ne ha 100. È un po` quello che succede nel calcio: l`Europa ha 1000 reais, noi 100… Ma alla fine, tutto si deciderà nella testa dei giocatori…”. Poi, entrando nello specifico della sfida contro i nerazzurri, che gli ha persino “rovinato” il giorno libero: “Conosciamo la qualità dell`Inter, è innegabile. Li abbiamo studiati a fondo per neutralizzarli tatticamente e siamo pronti. Pensate che per analizzare questa partita sono rimasto in albergo, e mia figlia Carolina mi ha rimproverato perché non sono uscito a cena con lei…”.
La preparazione alla sfida
Renato ha recuperato l`attaccante Soltedo, disponibile dopo l`infortunio, e può contare sul suo pilastro Thiago Silva, pronto a riprendere il suo posto al centro della difesa: “Thiago è un elemento chiave nel mio schema. È un leader, il capitano della squadra, quasi un allenatore in campo. Per noi dietro è una vera guardia di sicurezza”. Ha voluto chiarire che il suo Fluminense non cambierà approccio; resterà fedele a uno stile brasiliano sì, ma improntato alla praticità, nonostante il valore dell`avversario: “Ci alleniamo costantemente sulla costruzione del gioco da dietro, parlo molto con la difesa di questo aspetto. Mi piace il possesso palla e mi piace giocare. Ma voglio essere molto chiaro: se si è sotto pressione, non ha senso cercare il `bonito` a tutti i costi, perché se perdi palla, è finita. La mia filosofia è zero rischi e massima concentrazione: se subiamo gol, deve essere per merito loro, non per nostri errori”. Da qui un paragone efficace per farsi capire: “Molti dei miei giocatori sono padri di famiglia – ha proseguito il tecnico brasiliano –. Chiedo loro: `Camminereste in un centro commerciale voltando le spalle a vostro figlio di un anno e mezzo?`. Nessuno lo farebbe… È esattamente la stessa cosa in una partita di calcio. Se non siete concentrati, succederà qualcosa di brutto”. Riguardo al rischio temporali e fulmini, che ha portato alla sospensione di Benfica-Chelsea, sembra spaventare più Chivu che lui: “La natura è natura, non posso contrastarla. E queste sono le regole. In Brasile giochiamo sotto la pioggia, sotto i fulmini, con qualsiasi condizione. Qui, se un fulmine cade a 10 km di distanza, ci si ferma… Ma, se la partita si interrompe, la cosa più importante è mantenere alta la concentrazione”.

Amarcord giallorosso
Infine, non poteva mancare un tuffo nel passato. L`allenatore 62enne ha parlato della sua esperienza alla Roma con un pizzico di rimpianto: “In giallorosso non è andata benissimo. Avevo un contratto triennale e il primo anno ho avuto parecchi infortuni. Il mio presidente era Dino Viola e diceva che era una situazione comune con i giocatori stranieri: serviva tempo per adattarsi. Ma poi mi ha cercato il Flamengo e sono tornato in Brasile perché non ero felice, volevo giocare. Oggi, con l`esperienza che ho maturato, probabilmente non sarei tornato indietro così presto, perché avevo solo bisogno di tempo: era un calcio diverso, una cultura diversa, una nuova lingua”.