La rivoluzione dei nomi e numeri sulle maglie in Serie A

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Il primo esperimento del Milan risaliva al 1979, ma fu nell`estate del 1995 che la Lega Calcio prese la storica decisione che cambiò tutto.

Parma`s Antonio Cassano during the Italian serie A soccer match between Parma and Lazio at the Ennio Tardini stadium in Parma, Italy, 07 December 2014.
Antonio Cassano con la maglia del Parma. (Foto d`archivio)

Dall`estate del 1995, i calciatori di Serie A ebbero finalmente la libertà di scegliere il numero da stampare sulla propria maglia, affiancato dal cognome. Quella decisione della Lega Calcio segnò la fine di un`epoca, quella della numerazione fissa dall`1 all`11, e rappresentò una rivoluzione epocale per il calcio italiano. Questa svolta spianò la strada a una nuova fase, sempre più orientata verso logiche commerciali. Più orientamento al business, meno attaccamento alla tradizione. E, inevitabilmente, l`addio alle “formazioni-filastrocca” che generazioni di tifosi recitavano a memoria.

Proprio in quei giorni di luglio del 1995, la Lega Calcio diede il via libera alla nuova numerazione. Era giunto il momento delle maglie personalizzate. Inizialmente, l`idea prevedeva numeri dall`1 al 24, con numeri successivi riservati ai giovani della Primavera che venivano aggregati alla prima squadra per necessità. Col tempo, tuttavia, la numerazione venne ampliata, arrivando a coprire i numeri dall`1 al 99. Si trattava di una novità assoluta, sebbene, come vedremo, un tentativo isolato fosse già stato fatto quindici anni prima, senza però trovare seguito.

La Lega aveva discusso l`idea con i club di Serie A, riscontrando un consenso generale. Si percepiva che fosse il futuro, e il futuro andava accettato e gestito. Tra i più convinti sostenitori del cambiamento c`era Massimo Moratti, che proprio quell`anno, a febbraio, era diventato presidente dell`Inter, subentrando a Ernesto Pellegrini. Moratti era un grande appassionato di calcio inglese; appena poteva, volava a Londra nel weekend con i figli per seguire dal vivo le partite della neonata Premier League. Non gli era sfuggito che in Inghilterra, esattamente un anno prima, la numerazione “libera” era diventata la norma. Questa innovazione aveva entusiasmato i tifosi e aveva favorito il merchandising dei club inglesi, che, in termini di marketing, erano già allora anni luce avanti rispetto a quelli italiani.

Quante novità in quel periodo

La metà degli anni `90 fu un periodo di profonde trasformazioni per il calcio italiano. La questione dei diritti televisivi era diventata cruciale: la Rai aveva perso il suo monopolio e le pay-tv si ritagliavano spazi sempre più ampi nel palinsesto calcistico del fine settimana. Inoltre, nel campionato precedente era stata introdotta la regola dei 3 punti per la vittoria, una modifica che avrebbe cambiato profondamente l`approccio strategico alle partite. Nella stagione 1995-96 vennero anche aumentate le sostituzioni disponibili, da due a tre. Anche le regole arbitrali subirono alcuni ritocchi, come l`abolizione dell`alibi dell`involontarietà per i falli. E ancora, le violenze al di fuori degli stadi non comportavano più sanzioni dirette per le società. Insomma, il calcio italiano stava attraversando un restyling completo.

Ma nell`immaginario collettivo dei tifosi, la novità più impattante fu senza dubbio l`introduzione dei numeri liberi e dei nomi sulle maglie. Gli italiani non erano abituati a un tale cambiamento. I concetti chiave dietro questa rivoluzione erano legati ai ricavi, all`innovazione e alla spettacolarizzazione di un calcio che, solo un anno prima, aveva già mostrato un assaggio del futuro ai Mondiali americani. Il calcio italiano iniziò a guardare oltreoceano, non solo al calcio, ma anche al basket, prendendo la NBA come modello.

Nel giro di pochi mesi dall`introduzione delle maglie personalizzate, la Lega Calcio tentò di centralizzare la gestione del merchandising attraverso la creazione di un proprio marchio, lo stesso che ancora oggi vediamo impresso sulla manica delle maglie. L`obiettivo era quello di distinguere e promuovere tutti i prodotti legati al calcio, esattamente come già avveniva nella NBA. Si trattò di una novità significativa, che inizialmente passò quasi inosservata, ma che avrebbe avuto un impatto duraturo sul futuro del calcio italiano.

Un esperimento a `Milano da bere`

Fino a quel momento, le idee importate dall`America venivano spesso considerate con scetticismo, etichettate come semplici “americanate”. Ma ora il contesto era cambiato. In realtà, come accennato in precedenza, già alla fine degli anni `70 c`era stato un esperimento in questa direzione. E nacque proprio a Milano, la “Milano da bere” che in quegli anni era un centro nevralgico per la moda, lo stile e la creatività. Il Milan del 1979-80 era reduce dalla vittoria dello scudetto della Stella, conquistato pochi mesi prima.


Il designer di Linea-Milan, l`azienda incaricata di rinnovare l`immagine del club, ebbe carta bianca e, ispirandosi ai Cosmos di New York (dove giocatori come Chinaglia e Pelé avevano nomi e numeri personalizzati), ideò una maglia completamente nuova. Era una casacca a righe larghe, che richiamava gli Anni `50, con il marchio di un piccolo diavoletto. Sui pantaloncini venne stampata una “M”. Ma la novità più rilevante era, appunto, l`introduzione dei nomi sopra i numeri (che rimasero comunque dall`1 all`11). L`esperimento, dopo un primo tentativo del Monza in Coppa Italia, debuttò in Serie A il 25 novembre 1979. A San Siro si giocava Milan-Napoli. Il Milan scese in campo con la seguente formazione: 1 Albertosi, 2 Collovati, 3 Maldera, 4 De Vecchi, 5 Bet, 6 Baresi, 7 Buriani, 8 Bigon, 9 Novellino, 10 F.Romano, 11 Chiodi. Quella partita, beffa del destino, venne sospesa per nebbia. Era un`anteprima del futuro, ma nessuno allora se ne rese davvero conto.

Numeri… non solo al lotto

Con l`introduzione della numerazione libera nel 1995, i calciatori ebbero la possibilità di scegliere il numero che preferivano. Inizialmente, nella maggior parte dei casi e con rare eccezioni, si mantennero nell`ambito della numerazione concordata dall`1 al 24. Nel Milan, ad esempio, Coco (27) e Costacurta (29) andarono oltre questo limite, ma pochi altri seguirono il loro esempio. Il giovane Bobo Vieri, attaccante dell`Atalanta, scelse il numero 20; il suo amico Pippo Inzaghi al Parma optò per il 16. Luca Vialli, leader della Juventus, mantenne il suo classico 9, così come Ravanelli l`11.

Il numero 10, da sempre il più ambito, finì sulle spalle di campioni affermati ma anche su quelle di giocatori meno celebri che, a trent`anni di distanza, appaiono un po` sbiaditi nel ricordo. Nel Napoli, la maglia numero 10 fu indossata da Fausto Pizzi, a Parma la diedero a Gianfranco Zola. Rui Costa (Fiorentina), Savicevic (Milan) e Abedì Pelé (Torino) se la guadagnarono di diritto, a Udine toccò a Giovannino Stroppa, mentre nel Cagliari, dopo qualche discussione nello spogliatoio, la spuntò Lulù Oliveira. Nel complesso, prevalse una certa sobrietà nelle scelte iniziali; la maggioranza optò per numeri che, per così dire, erano affini al proprio ruolo tradizionale. Anche i portieri si dimostrarono ragionevoli, scegliendo il numero 1, e le riserve il 12. Negli anni successivi, i calciatori si concessero maggiore libertà, pescando a caso tra l`1 e il 99, a volte per ragioni sentimentali, ma più spesso per opportunità di merchandising.


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